// biografia
“Davide Tosches ha un sito internet (lo sapete, lo state leggendo).
Ha un profilo facebook. I suoi dischi sono su Spotify, le sue canzoni su Bandcamp e Soundcloud. I suoi cd si trovano nei negozi, quei pochi rimasti. Ogni tanto fa dei concerti. Ha una sua etichetta discografica. Collabora con altri colleghi musicisti. Insomma: Davide Tosches esiste, è nel mondo, sta nella contemporaneità come qualunque altro “cantautore”: indie o non indie, acustico o elettrico, apocalittico o integrato. Eppure, per altri versi, Davide Tosches non c’è. Non appartiene a a questa epoca congestionata, affannata, ossessionata dalla velocità delle informazioni e dell’apparire. Davide Tosches viene da un altro tempo e da un altro luogo. Quali siano, non è facile dirlo.
Ognuno può tracciare le coordinate che preferisce semplicemente ascoltando album come Dove l’erba è alta (2009), Il lento disgelo (2012) e Luci della città distate (2014). Se lo si trova, anche l’esordio Stressmog. Lavori impressionistici, suoni e parole adagiati in un panorama apparentemente immobile eppure vivo e in continuo divenire. Come la natura. E come, appunto, la musica di Davide. “Canzoni dal bosco”, verrebbe da dire, e non solo perché in un bosco il loro autore ci vive. Canzoni fatte di poco, con dentro tutto. Almeno, tutto il mondo di emozioni che Tosches vuole raccontare. Si possono citare tante influenze musicali, ma non possono essere solo i nomi di songwriter degli anni 60 o 70, magari come quello del suo amato Bruce Cockburn, a circoscrivere lo spazio poetico.
No, a guidare davvero l’ispirazione di Tosches sono altre suggestioni. Rami che si spezzano, frinire di uccelli, asini che ragliano, stoppie che bruciano, ruscelli che scorrono. E sullo sfondo il suono immaginario dei pensieri.
Benvenuti nel bosco.”
Carlo Bordone